Riflessioni sull’estetica musicale:tributo ad un artista ibleo
Saggio-recensione de La Sicilia musicale
Il suono negato
Paolo Altieri a Scicli?
Il concerto di Alba Assenza: la musicista ritorna sulla scena dopo 22 anni
Presentato a Scicli il progetto discografico sulle musiche cameristiche di Borrometi
Due serate musicali al Centro Studi "F. Rossitto"
Musica in dis-uso.
 
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Il suono negato di Dario Adamo

L’economia iblea - prevalentemente agricola - ha visto, sul piano sociale, una forte contrapposizione tra il ceto aristocratico (proprietari terrieri) e il ceto popolare (braccianti agricoli). Ridurre la realtà locale a queste due categorie è certo limitante, ma sostanzialmente i soggetti esclusi da questa classificazione hanno concorso a mantenere inalterato per secoli - o a cambiare lentamente - il regime feudale, scenario stesso della lotta fra padroni e manovalanza agricola, ben oltre la rivoluzione industriale e, per molti aspetti, addirittura oltre la rivoluzione elettrica.

Specchio di questa realtà sociale, in ambito musicale, è la fioritura di due repertori diversi e, se non del tutto, essenzialmente autonomi: essi sono stati indicati, con ampio margine di imprecisione, con i termini di "musica colta" e di "musica popolare". Come sul piano socioeconomico, questo scenario ha subito sostanziali modifiche durante il Novecento, con una accelerazione vistosa e devastante negli ultimi decenni. Questa modernizzazione selvaggia non si è limitata a mutare i comportamenti acustici, ma ha causato la perdita della consapevolezza sonora e del ‘fare musica’ caratteristici delle civiltà tradizionali equilibrate ed integrate.

La politica economica, o meglio il desiderio sfrenato di prevalere (economicamente) sugli altri, ha preso il sopravvento su qualsiasi altro aspetto della vita umana. Adeguandosi al sistema capitalistico oggi, come cent’anni fa, l’uomo occidentale, oppresso dai monopoli e dalle multinazionali, vive la propria quotidianità in maniera aberrante: contribuire a queste dinamiche o venirne schiacciati! L’impoverimento di ogni pratica sociale ha portato alla società di massa (traguardo di eguaglianza, un’eguaglianza che consente maggior controllo e dominabilità). In campo musicale questo processo trova il suo corrispondente nella morte del corpus popolare tradizionale: solo per accennare a qualche aspetto, il lavoro meccanizzato, se ha ridotto la fatica e i posti di lavoro, ha vanificato lo spirito e le occasioni che davano vita al canto di lavoro; l’uso della televisione e dei giochi elettronici ha spopolato i quartieri dei suoni infantili e adolescenziali; la discomusic (nonostante l’apparente fruizione di gruppo) e l’alta fedeltà hanno allontanato i giovani, e i meno giovani, dalle esperienze della musica viva. Oggi è l’industria musicale che confeziona i prodotti e lancia le mode e presto il processo di globalizzazione porterà ad avere una musica uguale e sintetica in tutto il globo, ingannevolmente spacciata per world music e, in realtà, paccottiglia eurocentrica. I generi popolari (o meglio di massa), già abbastanza manipolati e utilizzati nel tempo apparentemente libero dai ritmi alienanti del lavoro, verranno (peggio) sostituiti da una vera e propria tappezzeria sonora, appositamente costruita in laboratorio.

Finora non abbiamo trattato la musica colta perché essa nonostante non sia più una musica viva, bensì un bene museale, ha i suoi cultori e non rischia l’estinzione. Anzi, in questo ambito il processo di rivalutazione porterà ad un’estensione delle conoscenze sulla sua pratica, anche se vi saranno pur sempre più ascoltatori che praticanti. La musica colta è rimasta, tutto sommato, un prodotto d’élite, per un pubblico scelto che, grazie alla riproducibilità ed economicità dei supporti sonori, non corrisponde più ad una determinata classe censuaria. Purtroppo molti specialisti e appassionati di questo genere ritengono che la musica colta sia l’unicaveramusica ma in una società pluralista essa può semplicemente concorrere ad arricchire la nostra personalità.

Sebbene i due generi abbiano ricevuto una trattazione a parte, può essere individuato un aspetto che li accomuna: il senso di smarrimento provato dai fruitori difronte al significato di ciò che si ascolta, l’assenza e l’impossibilità di essere guidati lungo un cammino di cui abbiamo ormai perso la bussola.

Presa coscienza di tale stato di decadimento culturale sarebbe auspicabile che i pochi eventi che vengono organizzati non servano solo a santificare Pasqua e Natale e a riempire le serate d’agosto con concerti di dubbio valore e dotati di scarsa progettualità o, peggio, per dimostrare demagogicamente una capacità politica, ma siano occasioni di progresso culturale ed arricchomento spirituale. A tal proposito un interessante banco di prova per la classe politica, sarà la gestione del teatro Garibaldi di Modica, di cui è stata annunciata l’inaugurazione, sia il probabile riutilizzo del teatro Marino di Ragusa: per queste strutture ci si deve attendere che gli operatori incaricati siano capaci di offrire una rosa di appuntamenti varia e progettualmente articolata (teatro di prosa, teatro musicale, danza, musica, cabaret, ...), e non un elenco di date fissate per dimostrare attività e chiudere il bilancio in pareggio.

A parte questo, ammesso che l’offerta musicale migliori, va osservata l’esiguità degli edifici acusticamente adatti all’ascolto della musica. Pensare di utilizzare, sic et simpliciter, chiese, stadi palestre e teatri è assurdo. Queste strutture nate per altri scopi non consentono per tutti i generi di musica la fruizione ottimale (e stiamo parlando del requisito principale, della ragione di vita della musica). Se alcune strutture consentono, dopo un adeguato lavoro di riattazione, l’ascolto di alcuni generi, la comunità necessita di un auditorium realizzato ex novo, capiente ed acusticamente intelligente.

Ma create le occasioni e i luoghi adatti alla loro fruizione occorrerà preparare gli attori: il comune fruitore dei nostri tempi ha bisogno di capire la musica, non può limitarsi a subire passivamente vibrazioni che per la sua cultura alla deriva non vogliono dire più nulla. Solitamente ci sforziamo di capire l’arte (in un paese dove la letteratura ha monopolizzato e traviato i nostri sensi) con gli stessi parametri che utilizziamo per comprendere un romanzo.Per sfatare questo tenace luogo comune e offrire a tutti la possibilità di combattere i fenomeni che ho descritto occorrerà, intanto, che le biblioteche pubbliche incrementino e sistematizzino le raccolte di saggi d’argomento musicale e potenzino le raccolte di documenti sonori consentendone l’ascolto in sede; contemporaneamente occorrerà creare momenti di ascolto guidato per restituire la consapevolezza uditiva perduta nell’attesa di poter assistere, almeno nel nostro territorio, ad un rinnovamento della politica culturale musicale.